My name is Tino
Storia di un artista visionario, che ha portato il suo genio dalla Sardegna a New York
Quando ci si imbatte nella storia di un personaggio come Tino, o se preferite Antine, è difficile trovare le parole giuste per raccontarla. Una vita ricchissima di significati, di immagini, di istantanee da catalogare. Alla fine ho pensato di tirar fuori alcune diapositive, per far emergere quello che più ho amato di questo personaggio e che si può sintetizzare in una sola parola: condivisione.
La sua arte, fatta di pittura, scultura, architettura, design, nasce da una profonda ricerca e da un intenso contatto con la materia che le sue mani plasmano. Ma non è mai un’arte fine a sé stessa, perché si propone uno scopo che sta più in alto di tutto: essere uno strumento per rafforzare i legami profondi che compongono la comunità.
Tino non amava i luoghi affollati e avrebbe odiato l’estrema voracità con cui adesso le persone divorano l’arte, i luoghi, il cibo, senza coglierne l’essenza e il valore. Avrebbe odiato la contaminazione di queste mani sporche che vogliono solo toccare, prendere, senza mai lasciare niente agli altri. Avrebbe considerato insopportabile la distanza umana che la tecnologia non ha colmato, ma accresciuto.
E in questa visione dell’arte come uno strumento da vivere e condividere nella comunità non è stato da solo, ma ha trovato una degna sostenitrice e promotrice in Sardegna, di cui cui vi parlerò più avanti.
Per il momento vi lascio a questi flash sulla incredibile vita di Costantino Nivola.
La storia è nella galleria








