Cosa facevi nell’estate dei tuoi 18 anni?
Storia dell'incendio di Curraggia e di un’estate che ha cambiato per sempre la vita di 15 persone e delle loro famiglie.
Mi ha impressionato tantissimo pensare a quello che facevo nella mia estate da appena diciottenne. Avevo deciso di lavorare per poter mettere qualche soldo da parte, da usare per piccoli sfizi durante l’inverno dell'ultimo anno delle superiori. Lavoravo in un negozietto al centro di Santa Teresa di Gallura, località turistica molto in voga in quegli anni. Vendevo abbigliamento casual e sportivo, non avevo giornate libere ma ero felicissima, perché per la prima volta dormivo e vivevo fuori da casa mia con una delle mie migliori amiche.
È stata l’estate di uno dei miei primi amori, l’estate delle nottate in discoteca e dei risvegli sconvolti con pochissime ore di sonno.
Sì, ho un bellissimo ricordo di quelle vacanze. E se ci pensi probabilmente anche tu hai un ricordo simile, spensierato, di quell’estate o di quelle successive, di quando avevi 20 e poi 25 e 30 anni. L’età, insomma, in cui ci definiamo giovani, in cui si fanno “le cose da giovani”.
Nella storia che sto per raccontarvi, invece, il pensiero felice dell’estate di un gruppo di ragazzi o di giovani uomini purtroppo si ferma troppo presto. Non arriva nemmeno alla notte di San Lorenzo.
Si ferma il 28 luglio, quel maledetto pomeriggio di giovedì 28 luglio 1983, a Tempio Pausania, il mio paese.
Antonello ha solo 17 anni e mezzo, lavora in una fabbrica locale. Da giorni dà una mano per aiutare a spegnere i numerosi incendi che sono esplosi in Sardegna e che sono arrivati fino al nord.
Perché lo fa? Semplice senso del dovere.
Fa decisamente molto caldo in quei giorni e c’è un grande problema: si è sollevato un forte maestrale, quel vento tenace, vigoroso, che nelle spiagge esposte a ovest fa sollevare le onde e divertire i surfisti. È un vento che può dare sollievo dal caldo, ma può anche far correre all'impazzata le fiamme di un incendio, senza dare il tempo di mettersi in salvo.
Gigi è un operaio di 24 anni, una persona sempre allegra, che ama scherzare, il protagonista di cene e feste con gli amici, bello come il sole.
Chissà quante ragazze ha già fatto innamorare.
Con il suo amico Vanni, un ragazzo ottimista, divertente, generoso, nel primo pomeriggio del 28 luglio prendono il motorino e decidono di arrivare alla collina di Curraggia, per vedere fin dove si sia spinto il fuoco. Senza sapere che i loro destini, da quel momento in poi, prenderanno due strade completamente diverse.
Nello stesso momento il loro caro amico Vittorio, 26 anni, compagno di mille avventure, li cerca disperato. Chiama nelle loro case, dove trova solo i genitori. Anche lui prende il motorino e si avvia verso la collina di Curraggia, certo di trovarli là. Ma la situazione è insostenibile: diverse persone che lavorano nel corpo Forestale lo invitano a tornare indietro, a desistere, perchè la strada panoramica della collina di Curraggia è diventata impercorribile. Lui fa un tentativo, si fa bagnare per sopportare le altissime temperature.
Ma è troppo rischioso: il fumo è densissimo e lui decide di andare via, allontanarsi da quell’inferno. Questa decisione gli salverà la vita, ma gli peserà sulla coscienza per sempre.
In quel preciso momento a Tempio Pausania regna il caos: il cielo è avvolto da una coltre di fumo densa e violacea, e sotto questa nuvola uniforme si intravede una distesa di un cupo arancione. Le istituzioni comunali, tramite le emittenti locali, chiedono ai cittadini di accorrere sul posto e dare una mano per spegnere le fiamme, che si stanno pericolosamente avvicinando alle case.
Per questo le campane delle chiese suonano di continuo. Le sirene delle ambulanze sono un sottofondo ininterrotto.
Alcune case vengono evacuate, proprio là, vicino alla collina di Curraggia. Là dove la chiamata alle armi ha fatto arrivare tanti volenterosi, ma anche troppi curiosi, che bloccano la strada e bloccano i mezzi di soccorso.
Nel frattempo in paese la gente inizia a dar segni di disperazione: dalle finestre dei palazzi vicini ai distributori di benzina in molti rovesciano bacinelle d’acqua per paura di uno scoppio; nelle vie iniziano a susseguirsi voci di feriti che riportano nomi non corretti.
La paura si fa palpabile e chi ancora non ha visto tornare il proprio caro a casa ora è preda del panico e del terrore.
Lassù, nella strada panoramica, dove da un lato vedi l’inizio delle case e da quello opposto una distesa verde che arriva a valle e trova la strada che porta verso Sassari, in pochi minuti si consuma una tragedia difficile da accettare.
I ragazzi e gli uomini che quel pomeriggio hanno raggiunto Curraggia per dare una mano e mettere in salvo altre persone si trovano improvvisamente circondati dalle fiamme, arrivate su in pochissimi minuti.
Alcuni, nel tentativo di scappare, restano impigliati nelle linee di filo spinato, che segnano il confine con la strada e che in quel momento sono invisibili a causa del fumo. Altri svengono a causa delle difficoltà a respirare, e si accasciano a terra. Alcuni trovano riparo poco più su, oltre la strada, in un cumulo di sabbione sotto il quale cercano protezione, sdraiati per terra.
Al passaggio delle fiamme il suono è quello di urla disperate, le urla di chi sente che è arrivata la sua ora.
Poi, poco dopo, silenzio. Un istante di silenzio, inquietante, funebre, angosciante.
E poi nuovamente sirene, Campagnole che passano veloci a recuperare corpi antropomorfi che giacciono sulla strada, che chiedono aiuto, che addosso non hanno più nè vestiti nè pelle, ma brandelli di carne e sangue. E via al pronto soccorso, per i più fortunati.
Per alcuni il percorso si ferma là, a Curraggia.
I loro corpi sono rimasti immobili, irrigiditi dalle temperature elevatissime, soffocati dal fumo tossico di quella discarica a cielo aperto. Alcuni verranno ritrovati così, rannicchiati, in ginocchio o accasciati sul filo spinato, in quella posizione eroica che rappresenta l’ultimo estremo tentativo di salvare la propria vita, dopo aver salvato quella di altre persone.
Sono 9 gli uomini che non fanno mai più ritorno dalle loro famiglie, lasciando a casa mogli devastate dalla perdita, genitori che porteranno addosso per sempre il nero di quel lutto, figli piccoli che del proprio padre ricorderanno solo lontani fotogrammi, amici che si chiederanno per il resto dei loro giorni perché il destino sia stato così crudele, fratelli e sorelle che torneranno nelle loro camerette trovando un letto sempre vuoto.
Sono Gigi, Silvestro, Nino, Tonuccio, Claudio, Salvatore, Diego, Mario, Tonino.
Altri 6 uomini, o per meglio dire “ragazzi”, sopravvivono alle fiamme ma si trovano costretti ad attraversare un calvario di cure lungo diversi mesi per riprendersi dalle ustioni gravissime.
Alcuni perdono le dita delle mani, altri riportano ferite così gravi che non si sono mai totalmente rimarginate. Tutti rimangono segnati, traumatizzati per sempre, nel profondo, da quella sfortunata giornata.
Sono Gianni, Giuseppe, Antonello, Mario, Antonello e Vanni, che purtroppo è scomparso diversi anni fa, a causa di un infarto.
Ho trascorso con alcuni dei sopravvissuti e con i loro familiari una giornata molto intensa lo scorso 28 luglio, che loro da più di 40 anni dedicano esclusivamente al rituale della memoria, intimo e collettivo al tempo stesso.
Li ho abbracciati, ho parlato con loro, condiviso il pranzo, mi sono messa in silenzio al loro fianco durante il rituale al cimitero, la messa e il corteo verso il monumento dei caduti. Alcuni li ho osservati solo da lontano.
Ho cercato di comprendere il loro stato d’animo, ho visto i loro occhi silenziosi ma presenti, sentito la loro voce commossa ma ferma, scrutato le mani intrecciate a quelle dei loro cari. E ho ammirato ogni singola parola, ogni singolo gesto.
Mi sono chiesta come siano riusciti a trovare un nuovo senso, una nuova strada, una vita che comprenda il 28 luglio senza esserne travolti.
Ho avuto modo di incontrare anche Salvatore, che ormai alla causa degli incendi ha dedicato praticamente tutta la sua vita. E che ha accolto il mio lavoro con la stessa commozione di un genitore felice di vedere un figlio che coltiva le sue stesse passioni. Ho salutato Rino, che sulla vicenda del 28 luglio ha fatto nascere un romanzo, Qui nel vento e nei silenzi, e che si è prestato alla mia intervista in modo generoso e autentico.
Lo scorso 28 luglio è stata la sintesi e il prosieguo perfetto di quello che sono stati gli ultimi due mesi, in cui ho chiacchierato a lungo con i sopravvissuti, i loro familiari o i familiari di alcune delle vittime. Ho ascoltato i loro ricordi, cercato di unire i puntini delle loro storie tra passato e presente.
Ho provato a trasformare ore di registrazioni cariche di emotività in un lavoro che potesse donare qualcosa a tutti. Che stimolasse la riflessione, l’empatia, la comprensione, la vicinanza.
Da tutto questo è nato Cenere, un docu-racconto in formato video, che restituisce la storia di diversi uomini che, oltre ad aver perso l’estate della loro meravigliosa giovinezza, hanno perso anni e decenni di serenità, tormentati dai ricordi di quel tremendo avvenimento, per il resto dei loro giorni.
Cenere è stato realizzato in tempo da record, grazie alla disponibilità di Gabriele Demuro per grafica e montaggio e al contributo di Michele Mossa, che ha fornito le riprese con il drone. E grazie a tutti coloro che hanno detto sì, nonostante il ricordo di quel maledetto giorno fosse doloroso e lacerante.
Ti lascio qui in anteprima l’ultimo episodio della serie Cenere, non ancora pubblicato nei social. Gli altri li trovi nella pagina Instagram de la rubastorie, ma se non ami i social e hai il desiderio di accedere al video integrale, scrivimi in privato, te lo condivido con molto piacere.
Hai raccontato benissimo una storia tragica, ma che non deve finire mai nel dimenticatoio.
La forza della memoria può essere dolorosa eppure necessaria, se lo meritano le persone cadute, i ferite nella carne e i feriti nell'anima, le comunità coinvolte ogni anno dagli incendi.
Grazie.
Grazie... sincero ed istintivo. Non l'ho solo pensato, l'ho mormorato sorridendo.